Lettere di San Bruno

Le quattro lettere dopo il Privilegio di Ponte Mammolo (MPL 165, col.  1139 - 1142A)

Sono solamente quattro, ma ne sono state scritte sicuramente altre, le lettere che ci sono pervenute dopo che il papa Pasquale II ha concesso di nuovo al re Enrico V il privilegio delle investiture. Sono qui presentate in quello che è ritenuto l'ordine cronologico possibile.

 

1. Lettera a Pietro vescovo di Porto  ( MPL 165, col. 1139)

La prima lettera che conosciamo, dopo l’accordo di Ponte Mammolo, è quella inviata al cardinale Pietro, vescovo di Porto.

Tra Bruno e Pietro c’era una lunga e profonda amicizia perché entrambi erano stati collaboratori di Urbano II prima e di Pasquale II dopo. Anche se Pietro era più giovane di Bruno, era comunque un sostenitore della riforma gregoriana. Come Bruno, Pietro spesso era stato inviato dai due pontefici a risolvere questioni, presiedere sinodi e concili locali in loro vece.

Come cardinale, partecipò alla trattativa di Sutri, poi rigettata dall’Imperatore e dal suo seguito, e venne imprigionato con Pasquale II e gli altri cardinali presenti nella basilica vaticana per l’incoronazione di Enrico V. Fu tra i testimoni e i firmatari dell’accordo scellerato di Ponte Mammolo e forse proprio per questo Bruno gli scrisse, sentendosi in qualche modo tradito da un vecchio amico.

Quando Pasquale II, dopo le note vicende, preferì lasciare Roma e ritirarsi a Gaeta, Pietro venne nominato vicario generale, diventando così il primo cardinale vicario della Chiesa di Roma.

Le incomprensioni dovute all’episodio di Ponte Mammolo e la conseguente lettera di Bruno, non incrinarono tuttavia la stima reciproca perché entrambi nel 1113 parteciparono insieme al concilio di Benevento, dove fu deposto l’arcivescovo Landolfo, ribelle contro l'autorità papale.

Scrivendo a Pietro, Bruno si lamenta espressamente che alcuni vescovi e cardinali non solo non condannavano quanto era stato perpetrato contro la Chiesa da parte dell’imperatore ma addirittura lo difendevano con impudenza, facendo passare per lecito ciò che negli anni precedenti era stato definito come una eresia da più concili. Bruno non si fa scrupolo di definire come eretici tutti coloro che scientemente e liberamente approvavano quanto accaduto nonostante tutte le disposizioni dei concili precedenti.

 

Petro venerabili portuensi episcopo Bruno peccator, episcopus, B. Benedicti servus, salutem.

Audivimus quod quidam de fratribus nostris non solum non damnant ea quae contra Ecclesiam facta sunt, verum etiam imprudenter defendere conantur. Omnis autem qui haeresim defendit, haereticus est. Nemo autem hanc non esse haeresim dicere potest, quia sancta et apostolica Ecclesia in multis conciliis haeresim nominavit, et excommunicavit. Sed ille quidem specialiter dicuntur esse haereses quae in conciliis judicatae et damnatae sunt. Unde Guibertus non immerito haeresiarcha dictus est, simulque cum suis sequacibus damanatus et excommunicatus. Quicumque igitur catholicam Ecclesiam reliquentes, ad partem Guiberti transierunt, et eius impiam haeresim defendunt et tenent, eos haereticos, excommunicatos, et apostolicis vinculis ligatos esse non dubium est. Qui vero excommunicati, et legati sunt, neque seipsos, neque alios ligare vel solvere possunt.

 

Traduzione:

Bruno peccatore, vescovo, servo del beato Benedetto, al venerabile Pietro, vescovo di Porto, salute. Abbiamo sentito dire che alcuni tra i nostri fratelli non soltanto non condannano ciò che ora è stato fatto contro la santa Chiesa, ma anzi tentano di difenderlo con evidente impudenza. Però chiunque difende un’eresia è eretico. E nessuno può non dire eresia questa, che la santa ed apostolica Chiesa ha chiamato tale in molti concili e ha condannato e scomunicato. E in effetti vengono ritenute come eresie tutte quelle cose che nei concili vengono giudicate e condannate. Per questo Guiberto fu chiamato non immeritatamente eresiarca, e con i suoi seguaci fu condannato e scomunicato. Pertanto tutti coloro che abbandonano la Chiesa cattolica passano dalla parte di Guiberto e difendono la sua empia eresia e non c’è dubbio che debbano essere ritenuti eretici, scomunicati e costretti da vincoli di origine apostolica. Quelli poi che sono scomunicati e legati, non possono legare o sciogliere sé stessi e gli altri.

 

2. Lettera ai vescovi e ai cardinali di Santa Romana Chiesa  (anno 1111) - (MPL165 col. 1139 -1140)

Dopo aver scritto a Pietro, vescovo di Porto e suo amico, Bruno prende iniziativa e scrive una “lettera aperta” indirizzata direttamente ai vescovi e ai cardinali. Non si firma come abate di Montecassino, come avviene nelle altre lettere, ma come vescovo di Segni. Certamente se la lettera fosse stata indirizzata in quanto abate, avrebbe avuto un peso maggiore e creato ancor più rumore, Bruno sceglie un profilo basso ma certamente non meno incisivo. Non sappiamo con certezza sei i destinatari siano solo i cardinali e i vescovi incarcerati con papa Pasquale e firmatari del compromesso di Ponte Mammolo o invece il documento sia rivolto a tutti. Bruno riprende ed espone sinteticamente quanto già scritto al vescovo Pietro, e questo potrebbe indurre a pensare che i destinatari siano solo i firmatari, con i quali Pietro potrebbe aver già condiviso il parere di Bruno. Nella lettera non viene menzionato minimamente il papa, ma tutto è centrato sull’accondiscendenza più o meno costretta che era stata data alla concessione, tradendo una fedeltà alla dottrina della Chiesa, e al proprio essere cattolici, che era stata invece vissuta e manifestata in precedenza. Compare a più riprese il nome di Guiberto, l’antipapa Clemente III, fatto eleggere dall’imperatore Enrico, giudicato senza mezzi termini come un eretico imposto dal demonio. Si fa accenno allo stato di schiavitù in cui adesso la Chiesa è stata gettata mentre negli anni precedenti aveva recuperato la sua libertà: su questo punto Bruno tornerà più approfonditamente nella lettera a Pasquale attribuendo allo stesso pontefice la causa di tale situazione.

Purtroppo la lettera ci è giunta incompleta: si fa accenno ad uno svolgimento di argomentazioni di cui in realtà non disponiamo.

 

Episcopis et cardinalibus S.R.E. Bruno Signiensis episcopus salutem.

Jam pridem misi litteras Portuensi episcopo, dilectissimo amico meo, in quibus eos qui haeresim defendunt haereticos esse dixi. Dixi propterea omnes illos haereticos esse, qui catholicam Ecclesiam reliquentes, ad partem Guiberti transierunt, et eius impiam haeresim defendunt, et tenent. Neque vero ad partem Guiberti eos transisse intelligo, qui eius haeresim numquam laudaverunt, neque defenderunt, et si cogente necessitate, vel aliqua alia ratione ad horam consentire visi fuerint. Haec autem haeresis, quae est de investitura, ideo Guiberti et Henrici specialiter esse dicitur, quia ad hoc Guibertus ab Henrico rege, imo ab ipso diabolo papa ordinatus est, ut rex per eum obtinere potuisset quod sibi a parentibus suis relictum esse dicebat: investituram scilicet, et Ecclesiarum ordinationes. Hoc enim erat quod ipse quarebat, hoc erat quod per Guibertum obtinere sperabat. In aliis enim non multum a nobis differre videbantur. Damnabant enim et ipsi Simoniacos, sed et alia vitia aspernabantur, sicut et nos. Sed ipsi servitutem, nos Ecclesiae libertatem quaerebamus. Quicunque igitur dicit Guibertum haereticum non fuisse negat nos catholicos esse. Catholici enim sunt, qui catholicae Ecclesiae fidem et doctinam laudant et defendunt: sicut econtra haeretici, qui catholice Ecclesiae fidei et doctrinae obstinato animo contradicunt. Quomodo autem contra fidem et doctrinam catholicae Ecclesiae ibi malitiose pugnaverunt in sequentibus ostendemus. Erat inter nos et illos de investiturae quaestio non parva. De Simoniaca namque haeresi, ut jam superius diximus, nulla inter nos et illos quaestio erat, et quia a nobis, et ab ipsis pariter illa haeresis damnabatur …

 

Traduzione:

Bruno, vescovo segnino, ai vescovi e ai cardinali di Santa Romana Chiesa, salute.

Ho già inviato una lettera al mio carissimo amico vescovo di Porto, nella quale ho affermato che coloro che difendono una eresia devono essere ritenuti eretici. Ho detto inoltre che sono eretici tutti quelli che, lasciando la Chiesa Cattolica, sono passati dalla parte di Guiberto, difendono la sua empia eresia e gli prestano fede.

In verità non capisco neanche coloro che adesso sono passati dalla parte di Guiberto, che mai approvarono la sua eresia, né la difesero, ma ora sembrano acconsentire, anche se costretti dalla necessità o da qualsiasi altro motivo. L’eresia (di cui parlo) è quella che concerne le investiture, e che in modo speciale si riferisce a Guiberto e ad Enrico, perché per questo Guiberto è stato costituito papa dal re Enrico, anzi, dal diavolo stesso, perché il re, per mezzo suo, potesse esercitare ciò che diceva essergli stato tramandato dai suoi avi: cioè l’investitura e la assegnazione delle Chiese.

Questo infatti era ciò che il re chiedeva, questo era ciò che attraverso Guiberto sperava di ottenere. Per gli altri aspetti, questi non sembrano differire troppo da noi. Anche loro condannano i simoniaci, e rimproverano anche gli altri vizi, come noi. Ma mentre noi cerchiamo la libertà della Chiesa, loro invece la schiavitù.

Infatti chiunque dica che Guiberto non sia eretico, nega anche che noi siamo cattolici. Infatti sono cattolici coloro che predicano e difendono la dottrina e la fede della Chiesa: come al contrario sono eretici coloro che, con animo ostinato, contraddicono la dottrina e la fede della Chiesa cattolica.

Infatti più avanti mostreremo in che modo costoro, e dove con malizia, combattono contro la fede e la dottrina della Chiesa Cattolica. C’è infatti tra noi e loro una disputa non secondaria sull’investitura.

Come prima abbiamo detto, sull’eresia simoniaca tra noi e loro non c’è nessuna questione, perché da noi e da loro, quella eresia era condannata alla stessa maniera…

 

3. Lettera a Pasquale II  (anno 1111) - (MPL 163, col 463A- 464A)

Dopo l’accordo di Ponte Mammolo buona parte dell’episcopato restò deluso dal cedimento di Pasquale II e in seno alla Chiesa serpeggiava il malcontento. Qualcuno si spinse anche a chiedere le dimissioni del papa e a ritenerlo ormai privo di ogni autorità. Una parte più moderata e tra questi anche san Bruno, pur condannando apertamente e senza mezzi termini ciò che Pasquale aveva fatto, rinnovò la sua obbedienza e fedeltà chiedendo però al papa di tornare sui suoi passi, di ritirare l’approvazione data e di scomunicare l’Imperatore.

Alcuni vescovi si rivolsero direttamente a Bruno per conoscere il suo pensiero, sia perché era da sempre uno dei primi ispiratori e sostenitori della riforma gregoriana, sia perché in quanto abate di Montecassino, aveva una posizione assai influente nella Chiesa. Bruno di suo scrisse un libello sulla questione che purtroppo è andato smarrito, e poi intrattenne una corrispondenza epistolare con alcuni vescovi e di riflesso con Matilde di Canossa.

Poiché alcuni suoi rivali e nemici, dissero falsamente a Pasquale II che l’abate di Montecassino stava organizzando una sua eventuale deposizione, per chiarire la questione, per riaffermare la sua fedeltà al papa ma anche per ribadire la sua ferma posizione in merito, Bruno scrisse direttamente una lettera al papa, probabilmente sul finire dell’estate del 1111. Come reazione alla lettera, Pasquale II furibondo, senza mezzi termini, ai primi di ottobre scrisse a Bruno e gli impose sotto pena di scomunica di dimettersi da abate e di tornare immediatamente a Segni come vescovo, annullando quel privilegio che gli aveva concesso, privilegio tra l’altro non richiesto e voluto da Bruno, di cumulare la carica di abate a quella di vescovo ordinario.

Bruno tornò a Segni senza esitazione, accolto festosamente dal suo gregge, il 13 ottobre 1111.

Per porre un rimedio alla situazione e avere pace con la Chiesa, il 18 marzo 1112 Pasquale II convocò un concilio al Laterano, al quale parteciparono circa 120 vescovi, e tra questi anche Bruno. La soluzione proposta dal papa fu al quanto evasiva, come era d’altronde nello stile di Pasquale, e non placò gli animi. Dobbiamo attendere il 1116, quando Pasquale II convoca un secondo concilio sempre al Laterano per chiudere le questioni rimaste aperte quattro anni prima e compiere quell’atto penitenziale che fino a quel momento aveva evitato e che fin quando non fosse stato realizzato, lo rendeva agli occhi della Chiesa, non pienamente idoneo al governo.

In entrambi i momenti, Pasquale formulò una ammissione di colpe che in qualche modo riecheggiava, anche nei termini, l’appello accorato che Bruno gli aveva rivolto con la sua lettera. Anche in questo caso l’insegnamento del vescovo di Segni aveva fatto da riferimento.

 

 

Paschali summo pontifici Bruno peccator, episcopus, B. Benedicti servus, quod tanto domino et Patri.

Inimici mei dicunt tibi quia te non diligo, et quia de te male loquor, sed mentiuntur. Ego enim sic te diligo, sicut Patrem e dominum diligere debeo: et nullum alium, te vivente, pontificem habere volo; sicut ego cum multis tibi promisi.

Audio tamen Salvatorem meum mihi dicentem: “Qui amat patrem, aut matrem plusquam me, non est me dignus” (Matth X).

Unde Apostolus dicit: “Si quis non diligit Dominum Jesum, sit anathema marathana” (1Cor XVI).

Debeo igitur diligere te, sed plus debeo diligere illum, qui et te fecit et me. Huic enim tanto amori nihil unquam praeferendum est. Foedus autem illud tam foedum, tam violentum, cum tanta prodictione factum, tam omni pietati, et religioni contrarium, ego non laudo.

At vero neque tu, sicut a pluribus referentibus audivi. Quis enim illud laudare potest, in quo fides violatur, Ecclesiam libertatem amittit, sacerdotium tollitur, unicum et singulare ostium Ecclesiae clauditur, aliaque multa ostia aperiuntur, per quae quicunque intrat, fur est et latro? Habemus Canones; habemus Ss. Patrum constitutiones a temporibus apostolorum usque ad te. Via regia incedendum est, neque ab ea in aliquam partem declinandum. Constitutio tua, et constitutio apostolorum una est; et ipsa quidem multum laudabilis. Apostoli enim omnes illos damnat, et a fidelium communione segregant, quicunque per saecularem potestatem Ecclesiam obtinent. Laici enim, quamvis religiosi sint, nullam tamen disponendi Ecclesiam facultatem habent. Similiter et costitutio tua, quae de apostolico fonte manavit, omnes illos clericos damnat, et a fidelium communionem separat, quicumque de manu laici investituras suscipunt, et quicunque eius manum imponunt. Haec namque constitutio apostolorum, et tua, sancta est, catholica est, cui quicunque contradicit, catholicus non est.

Illi enim soli sunt catholici, qui catholicae Ecclesiae fidei et doctrina non contradicunt. Sicut e contra illi sunt haeretici, qui catholicae Ecclesiae fidei et doctrinae obstinato animo contradidicunt. Hanc igitur tuam, et apostolorum costitutionem, Pater venerabilis, iterum confirma; hanc in tua Ecclesia, quae omnium Ecclesiarum caput est, palam et cunctis audiendibus praedica; hanc haeresim, quam tu ipse haeresim esse dixisti, apostolica auctoritate damna; et mox videbitis totam Ecclesiam tibi esse placatam, mox omnes videbis ad tuos pedes confluentes, et cum magna laetitia, sicut Patri et domino obedientes.

Miserere Ecclesiae Dei, miserere sponsae Christi, et per tuam prudentiam suam recuperet libertatem, quam modo per te amisisse videtur.

Ego autem illam obligationem, et illud juramentum, de quo superius diximus, parvipendo; neque pro eius obligatione minus unquam obediens ero.

 

Traduzione:

Bruno peccatore, vescovo , servo del beato Benedetto, al sommo pontefice Pasquale, suo amato padre e signore.

I miei nemici ti dicono che non ti amo e che parlo male di te, ma mentono. Io infatti ti amo così come si deve amare un padre e un signore e, durante la tua vita, non voglio avere nessun altro come pontefice, così come ti ho promesso insieme a molti altri.

Ascolto tuttavia il mio Salvatore che mi dice: “Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me” (Mt 10). Per questo anche l’Apostolo dice: “Se qualcuno non ama il Signore Gesù sia anatema, maranathà” (1Cor 16). Pertanto devo amarti, ma devo amare di più Colui che a fatto te e me. Niente deve essere mai anteposto ad un così grande amore. Io non approvo quel patto così vergognoso, così violento, fatto con grande tradimento, tanto contrario ad ogni sentimento di pietà e di religione. E in verità neanche tu, cosi come ho sentito dire da molti. Chi infatti potrebbe lodare tale patto in cui viene violata la fede, la Chiesa perde la libertà, viene soppresso il sacerdozio, viene chiusa l’unica e singolare porta della Chiesa, vengono aperte invece molte altre porte, per le quali può entrare chi è ladro e assassino?

Abbiamo i canoni, abbiamo le norme dei santi padri dai tempi degli apostoli fino a te. È la via regale sulla quale camminare e dalla quale non allontanarci. Le tue norme e le norme degli apostoli sono una cosa sola e questo è molto lodevole. Gli apostoli infatti condannano, e separano dalla comunione dei fedeli, tutti coloro che ottengono una Chiesa dalla autorità secolare. I laici infatti, anche se religiosi, non hanno la potestà per disporre di una Chiesa. Allo stesso modo, le tue norme, che hanno origine apostolica, condannano e separano dalla comunione dei fedeli tutti quei chierici che ricevono l’investitura dalla mano laicale e anche coloro che ad essi impongono le mani.

Infatti questa indicazione degli apostoli, che è anche tua, è santa, è cattolica, e chiunque la contraddice non è cattolico. Infatti sono cattolici solo quelli che non contraddicono la dottrina della fede della Chiesa cattolica. Al contrario, sono eretici tutti coloro che, con animo ostinato, contraddicono la dottrina della fede della Chiesa cattolica.

Pertanto, padre venerabile, conferma di nuovo questa disposizione tua e degli apostoli, predicala apertamente a tutti coloro che vorranno ascoltarla nella tua Chiesa romana che è capo di tutte le Chiese. E condanna con l’autorità apostolica questa eresia, che tu stesso hai dichiarato come tale, e subito vedrai tutta la Chiesa rappacificarsi con te; subito vedrai tutti affluire ai tuoi piedi e con grande gioia obbedire a te come padre e signore. Abbi pietà della Chiesa di Dio, abbi pietà della Sposa di Cristo!

E per mezzo della tua prudenza recuperi la libertà che da qualche tempo per causa tua ha perduto.

Io tuttavia non verrò meno alla fedeltà promessa e al giuramento di cui abbiamo parlato prima, e mai sarò meno obbediente proprio per via di questo obbligo.

 

4. A B. Preposito e a tutti i fratelli di San Giorgio. (MPL 165, col. 1140 -1142)

La quarta ed ultima lettera che conosciamo dopo la questione di Ponte Mammolo è quella inviata da Bruno al preposito del monastero di San Giorgio a Ganghereto, all’epoca soggetto alla congregazione benedettina vallombrosana, in provincia di Arezzo. Il priore scrive a nome del vescovo di Lucca, Rangherio, del vescovo di Parma, Bernardo degli Uberti, a cui faceva riferimento anche Matilde di Canossa, e dei ministri di Camaldoli e di Vallombrosa, Guido dei Conti Guidi e Almario Alberti. Non è questa probabilmente l’unica lettera, perché Bruno accenna ad altre missive precedenti. Ormai la rottura con Pasquale II si è consumata e Bruno non ne fa mistero con i destinatari i quali probabilmente speravano che fosse riuscito a far cambiare idea al papa con le sue argomentazioni in uno degli incontri avuti insieme ad altri e di cui Bruno fa cenno nella precedente lettera a Pasquale II. La lettera offre a Bruno anche l’occasione per riaffermare la propria ferma posizione di restare, per grazia di Dio e senza tentennamenti, nel solco delle decisioni di Gregorio e di Urbano. Bruno fa accenno ad un libello che ha composto sull’argomento e di cui la lettera sembra essere piuttosto un accompagnamento. È significativo sottolineare come il parere di Bruno fosse ricercato e la sua opinione facesse scuola, segno della stima di cui godeva presso i contemporanei ma anche del fatto che, nella confusione generale, fosse visto come autentico depositario e garante della riforma gregoriana, tradita dalla debolezza di Pasquale II.

 

Dilectissimo frati B. praeposito S. Georgii, et cunctis fratribus qui cum eo sunt salutem et benedictionem.

Significastis nobis per litteras vestras, quod S. et venerabilis episcopus Lucensis et Parmensis et sacrarum congregationum ministri Camaldunensis et Vallisumbrosae nostram voluntatem cognoscere volunt de haeresi, quae dicitur de investitura, et, an dominus papa nostrum consilium suscepit, et suscepturus est. Primum autem hoc sciatis, quia dominus papa neque me diligit, neque consilium meum. Voluntas autem bona mutari non debet. Et ego quidem quod dixi, hoc dico, et in Gregorii et Urbani sententia firmissime maneo, et spero de omnipotentis Dei misericordia, quia in hac voluntate usque in finem permanebo. Misi autem vobis hunc parvum libellum, et rogo vos ut, sicut alias litteras nostras supradictis venerabilibus episcopis, caeterisque Christi fidelibus ostendistis, ita istas quoque ostendatis, etc.

Traduzione:

Al dilettissimo fratello B. preposito di San Giorgio e a tutti i fratelli che sono con lui, salute e benedizione.

Con la tua lettera ci hai comunicato che i santi vescovi di Lucca e di Parma, e i ministri delle sacre congregazioni di Camaldoli e di Vallombrosa vogliono conoscere la nostra opinione riguardo l’eresia cosiddetta dell’investitura e se il signor papa ha accolto il nostro parere o è in procinto di accoglierlo. Sappiate prima di tutto questo: il signor papa non ama né me e né i miei consigli. Tuttavia non bisogna cambiare una buona decisione. Ed io ciò che ho detto, questo ribadisco, e rimango fermamente nella decisione di Gregorio e di Urbano, e spero, per la misericordia di Dio onnipotente, di restare fino alla fine in questa volontà. Vi ho inviato questo libello, e vi chiedo che come avete mostrato le precedenti lettere ai suddetti venerabili vescovi e agli altri fedeli, cosi facciate vedere anche questo.

 

 

 

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