Vita di San Bruno di Segni

Bruno di Segni è nato a Solero, attualmente in provincia di Alessandria ma a quel tempo sotto la giurisdizione del ducato di Asti. Per questo motivo viene chiamato anche Bruno da Solero o Bruno Astense. Qualche autore lo chiama anche Bruno di Montecassino per il fatto che per nove anni fu monaco e poi abate nel famoso cenobio. La terminologia più frequente, anche nell’uso liturgico, è comunque quella che lo identifica come Bruno di Segni.

La data certa dalla quale, a ritroso si ricostruiscono tutte le altre, è quella della morte, il 18 luglio 1123. Per quarantaquattro anni Bruno è stato vescovo di Segni, risaliamo quindi al 1079 come anno della sua nomina episcopale. Sappiamo che quando fu eletto vescovo era poco più che trentenne, eccoci quindi ad un periodo che oscilla tra il 1045 e il 1049 per collocare l’anno della sua nascita.

I suoi genitori si chiamavano Andrea e Willa e, come narrato nella Vita Sancti Brunonis, appartenevano ad una modesta famiglia.

Da fanciullo fu affidato ai monaci benedettini di San Perpetuo, un monastero dipendente dall’abbazia di Fruttuaria[1], nel Canavese. Nel monastero, Bruno riceverà la prima formazione, vi apprenderà le nozioni per la lettura e lo studio della Bibbia che lo porteranno ad essere il migliore esegeta dell’XI secolo[2]. Sempre secondo l’anonimo autore della Vita Sancti Brunonis, continuò i suoi studi a Bologna per apprendere le discipline del trivio e del quadrivio.

Non siamo a conoscenza dell’anno in cui fu ordinato presbitero, ma sappiamo che poco più che ventenne, da canonico di Asti, scrisse un commento al Salterio gallicano dedicato al vescovo della città, Igone. Da Asti si trasferì a Siena, diventando canonico del capitolo della cattedrale al tempo del vescovo Rodolfo. A Siena compose il commento al Cantico dei Cantici, su richiesta degli altri canonici. Nell’inverno del 1078, Bruno si trova a Roma, ospite del cardinale Pietro Igneo, vescovo di Albano. Qui conosce Berengario di Tours con il quale discute, insieme ad altri teologi, sul dogma della transustanziazione eucaristica, negata in più circostanze dallo stesso Berengario. Quando nel febbraio del 1079 si apre il Sinodo Romano presieduto da Gregorio VII per confutare definitivamente gli insegnamenti di Berengario e chiudere un periodo di discussioni che si trascinava ormai da circa venti anni, Bruno è presente in veste di teologo. Partecipa attivamente alle discussioni e viene notato da Gregorio VII, il quale resta bene impressionato dalle sue capacità.

La diocesi di Segni era rimasta vacante per la morte del vescovo Erasmo ed era compito di Gregorio ratificare la nomina del nuovo presule che doveva avvenire con il voto del capitolo della cattedrale di Segni. Il papa giocò di anticipo e inviò Bruno a Segni a predicare ai canonici che erano riuniti per procedere all’elezione del nuovo vescovo. Il cardinale Pietro Igneo lo accompagnò.

Bruno, come racconta l’Anonimo, spiegò loro i primi versetti del capitolo diciannove del libro dei Numeri, il testo della “giovenca rossa”, illustrando quelle che dovevano essere le caratteristiche e le virtù del vescovo[3] in contrapposizione a quelle che erano invece le mancanze dei sacerdoti veterotestamentari.

Il cardinale Pietro Igneo, che assisteva all’elezione, probabilmente suggerì ai canonici il suo nome, rivelandogli che godeva già del placet papale. Non fu difficile convincerli, considerata l’approvazione unanime che aveva riscosso la sua predicazione.

Bruno venne eletto vescovo di Segni ma accettò con molto timore, tentò addirittura la fuga per tornare in seguito sui suoi passi. Sarà consacrato vescovo dallo stesso Gregorio VII, a Roma.

Segni era una diocesi piccola, che non richiedeva una presenza costante da parte del vescovo ed essendo vicina a Roma, permetteva a Bruno di essere affianco a Gregorio, che stimandolo, voleva avvalersi della sua fattiva collaborazione per la riforma della Chiesa che aveva intrapreso con grandi sacrifici.

Infatti dal 1079 al 1085, anno della morte di Gregorio VII, Bruno sarà spesso a Roma per collaborare con il papa, così come racconta egli stesso nella sua Vita Leonis Papae IX[4], fornendo una serie di dettagli e particolari. Da questa opera possiamo comprendere come Bruno fosse ben inserito nella corte pontificia e come fosse alto il livello della sua collaborazione con Gregorio. Una vicinanza molto concreta, tanto che si riprometteva di trovar tempo per scrivere una vita del pontefice, perché se ne conservasse memoria in futuro, anche su aspetti poco noti ai più.

I primi anni dell’episcopato di Bruno risentirono pienamente dei gravi problemi che attraversavano la Chiesa. Il giovane vescovo vi partecipa condividendo fino in fondo le posizioni di Gregorio VII nel contrastare l’imperatore Enrico IV.

Per questo motivo, nel 1082, facendo ritorno da Roma, fu catturato dal conte Ainulfo di Segni che nel frattempo si era schierato con l’imperatore sperando di trarne vantaggio. Fu imprigionato per oltre tre mesi nel castello di Vicoli, poco distante dalla sua sede episcopale. Liberato miracolosamente dalla dura carcerazione, Bruno rientrò a Segni e poco dopo tornò di nuovo a Roma.

Con Gregorio VII, Bruno condividerà anche l’ultimo periodo dell’assedio di Roma da parte delle truppe imperiali, nel 1084.

Rifugiatosi col papa all’interno di Castel Sant’Angelo, Bruno nel frattempo compone il commento al profeta Isaia su richiesta del cardinale Damiano. Il papa venne liberato dai Normanni accorsi in suo aiuto sotto la guida di Roberto il Guiscardo. Dopo il feroce saccheggio e le angherie che questi ultimi fecero in interi quartieri della città quasi a crudele compenso per il soccorso prestato, per scampare alla rivolta del popolo giustamente inferocito, Gregorio VII fuggì a Salerno dove mori nel 1085.

Sulla strada, il papa fece tappa a Montecassino e vi rimase per qualche mese. Bruno fu con molta probabilità al seguito del pontefice: “Gregorio VII, per sottrarre Roma a più orribili disastri, se ne partì in volontario esilio per riparare a Salerno. Ve lo accompagnò il fidissimo Bruno, che non volle allontanarsi da lui nella dura sorte[5].

Morto esule Gregorio VII il 25 maggio 1085, venne eletto papa l’abate di Montecassino, Desiderio, che prese il nome di Vittore III. Il pontificato di Vittore fu breve, egli morì il 16 settembre dell’anno 1086, appena quattro mesi dopo aver accettato l’elezione[6] ed essere stato incoronato romano pontefice.

Probabilmente Vittore conosceva bene Bruno, vista la vicinanza tra l’abbazia cassinese e la sede episcopale di Segni, ma anche perché aveva avuto modo di apprezzarne la lealtà e le capacità nel periodo in cui Gregorio VII aveva soggiornato presso l’abbazia, prima di prendere definitivamente la strada per Salerno. Vittore evidentemente nutriva stima nei suoi confronti perché, imponendogli di conservare la sede episcopale segnina, lo nominò Bibliotecario della Chiesa Romana[7].

Questa nomina era l’occasione per avere tra i suoi più stretti collaboratori un uomo di spicco del partito gregoriano, per garantire una continuità con il pontificato precedente e l’azione riformatrice intrapresa, ma anche per fugare ogni ombra di dubbio sulla sua lealtà verso la riforma di Gregorio e mettere così a tacere i gregoriani più intransigenti che ancora gli rimproveravano i tentativi di pacificazione con lo scomunicato Enrico IV.

Un ufficio importante, quello che Bruno riceve, perché all’epoca il Bibliotecario era anche il Cancelliere e svolgeva molte di quelle mansioni che nell’ordinamento attuale sono attribuite al Segretario di Stato. In questa veste infatti il vescovo di Segni, appena quarantenne, apporrà la sua firma a diversi documenti papali. La sua presenza al fianco di Vittore fu provvidenziale per la continuazione della riforma gregoriana.

Dopo il breve pontificato di Vittore III, il 12 marzo 1088 viene eletto papa Oddone de Châtillon che assume il nome di Urbano II. Oddone, priore di Cluny, fu uno stretto collaboratore di Gregorio VII, insieme a Bruno.

Dopo gli anni dell’intransigenza di Gregorio VII e il breve periodo di Vittore III, Urbano II, almeno nei primi anni di pontificato, cercò di attuare una politica più conciliante senza rinnegare tuttavia i principi della riforma. Per questo mitigò sapientemente la legislazione gregoriana, favorì il rientro di quanti avevano aderito allo scisma imperiale e si conquistò la simpatia dei principi italiani e dell’alto clero[8].

L’assemblea dei porporati che elesse Urbano II era composta da tutti i cardinali vescovi delle sedi suburbicarie e da un nutrito numero di cardinali presbiteri che non avevano seguito l’antipapa Clemente III, imposto già da anni dall’imperatore, ed erano rimasti fedeli a Gregorio VII prima e a Vittore III poi. In questo modo era così salvaguardato quanto prescritto dal regolamento di Nicola II e l’elezione poteva ritenersi canonica.

Scrivendo all’abate di Cluny e agli altri vescovi per comunicare la sua elezione al soglio pontificio, Urbano II nomina tra i cardinali elettori, ponendolo tra quelli appartenenti all’ordine episcopale e quindi tra i maggiori, anche Bruno di Segni. Per questo motivo qualche storico ritiene che Bruno non fosse un semplice vescovo ma bensì un cardinale[9], ed ecco perché in alcuni testi viene indicato come tale.

Anche Urbano II, come prima Gregorio e Vittore, negli undici anni del suo pontificato troverà in Bruno un fidato collaboratore e un saggio consigliere. La loro amicizia era iniziata già dai tempi di Gregorio VII. Entrambi nominati vescovi per espresso desiderio del papa, erano stati spesso incaricati di missioni delicate e importanti. Condividevano i principi della riforma gregoriana e provenivano entrambi dall’ambiente monastico cluniacense. Gli anni del pontificato di Urbano sono per Bruno il periodo in cui si assenterà frequentemente da Segni per accompagnare il papa nei viaggi apostolici e nelle missioni diplomatiche. La firma di Bruno è apposta in molti documenti pontifici e bolle papali anche se non sembra più essere Bibliotecario. Spesso è citato negli atti come consigliere del papa insieme ad altri cardinali.

Nel marzo del 1095 Bruno prende parte, sempre al seguito del papa, al concilio di Piacenza in cui si ribadirono tutti i provvedimenti della riforma gregoriana. Questa imponente assemblea conciliare, che vide la partecipazione di circa quattromila ecclesiastici giunti da ogni parte della Chiesa[10], segnò una svolta nella politica ecclesiastica di Urbano che da questo momento, avendo notato un generale rilassamento indotto anche dal suo atteggiamento conciliante, cominciò ad essere più severo nell’applicazione dei principi della riforma[11]. Nello stesso anno partecipa anche al concilio di Clermont, sempre al seguito del Papa.

Urbano II muore a Roma il 29 luglio del 1099, dopo quindici giorni, il 13 agosto, viene chiamato a succedergli il cardinale Raniero di Bleda, che prende il nome di Pasquale II.

Inizia il periodo più impegnativo della vita di Bruno e anche il più tormentato.

Paradossalmente, Pasquale è il papa con cui Bruno aveva più familiarità e con cui aveva condiviso più esperienze di vita, già da prima della sua elezione al pontificato romano, ma è anche il papa che lo farà soffrire di più, punendolo alla fine, con la privazione di quella che era la sua aspirazione più profonda, la vita monastica[12].

Confrontando le loro vite ci accorgiamo come, pur condividendo formalmente gli stessi obbiettivi, Pasquale e Bruno hanno due metodi completamente diversi per perseguirli. Il primo più incline al compromesso che spesso sfocia nell’ambiguità, il secondo più intransigente e limpido.

Pasquale all’inizio mostrò una grande considerazione per Bruno, servendosi assiduamente della sua collaborazione e dei suoi pareri. Bruno accompagna frequentemente il papa nei suoi numerosi viaggi, dentro e fuori lo Stato della Chiesa. L’operato di Bruno è talmente considerato che in una delle visite a Montecassino, Pasquale II dirà ai monaci riuniti in capitolo che Bruno è degno di succedergli sul trono di Pietro[13].

L’ultimo viaggio di Bruno al seguito del papa è nell’estate del 1102. Tornando a Segni prende una decisione tanto meditata e a lungo rimandata: entra a Montecassino come monaco.

Subito dopo scrive a Pasquale II, per giustificare la sua scelta: “Tutti coloro che si trovano nella Chiesa romana sanno senza dubbio che, se la pazzia degli scismatici non avesse incrudelito contro la Chiesa, già da molti anni avrei fatto ciò che ora ho compiuto. Ma ora che la Chiesa di Cristo, Dio nostro, diffusa per l’orbe, si rallegra con la Chiesa romana, che regge le chiavi di Pietro, perché tacciono i turbini dei venti e i mari riposino calmi, mi sia permesso mantenere ciò che ho promesso per voto”[14].

Bruno può ora permettersi di fare questa scelta perché il panorama europeo si presentava molto più calmo rispetto agli anni precedenti e sembrava che gli sforzi finora fatti per la riforma della Chiesa, anche se con qualche difficoltà, cominciassero a portare i loro frutti.

Nonostante il concilio di Clermont avesse proibito espressamente il cumulo degli offici ecclesiastici Bruno, per ordine di Pasquale II, continuava a tenere tutte le cariche già esercitate, aggiungendovene di nuove.

La sua presenza in monastero è tuttavia fortemente condizionata dai servizi che il papa gli impone. Non sembra che il papa si sia rassegnato a perderlo perché continua ad impegnarlo con gli stessi ritmi di prima, facendosi accompagnare nei vari viaggi apostolici e affidandogli molteplici incarichi e incombenze.

Il 1° ottobre del 1107, mentre Bruno è in missione, muore l’abate di Montecassino. Egli torna nell’abbazia quarantaquattro giorni dopo la sua sepoltura e viene chiamato a succedergli sul finire del mese di novembre.

Come abate non potrà più svolgere legazioni papali, perché è tenuto a risiedere in monastero. Continuerà solo a reggere la Chiesa di Segni, attraverso un vicario, compiendo visite regolari e inviando gli oli santi a Pasqua in segno di comunione. Ogni qual volta che a Segni si verificava un problema che necessitava della sua decisione, una delegazione di sacerdoti si recava a Montecassino, attraverso il vecchio tracciato della Via Latina, per illustrare il problema e ricevere indicazioni.

Pasquale, confermandone la nomina abbaziale, deve accettare ormai la situazione e privarsi del suo esperto collaboratore. Inizia per Bruno un periodo intenso di studio e di preghiera. Ha tempo per scrivere e per dedicarsi alla cura del monastero che negli anni del suo saggio e accorto governo prospererà spiritualmente ma anche economicamente, accrescendo il suo già vasto patrimonio[15].

Nel giugno del 1109 è nella sua Segni dove accoglie Pasquale II che nella chiesa cattedrale eleva all’onore degli altari il vescovo Pietro di Anagni di cui Bruno aveva scritto la vita. È importante notare che la canonizzazione non si svolge ad Anagni, dove Pietro era stato vescovo ed era sepolto bensì a Segni, nella diocesi di Bruno, indice della stima che Pasquale ancora nutriva nei suoi confronti.

Dopo questo episodio inizia però uno dei periodi più brutti della lotta per le investiture, certamente il più tragico e Pasquale ne sarà il protagonista e, suo malgrado, anche la vittima.

Bruno vivrà questo periodo marginalmente, lontano dalla curia, perché ormai si è ritirato definitivamente a Montecassino ed ha abbandonato la vita curiale. Ne sentirà gli echi che arrivavano puntualmente in abbazia e questo sarà sufficiente per suscitare la sua ferma e decisa reazione.

 

Nel 1111, quando già da tre anni Bruno era stato eletto abate di Montecassino, il giovane Enrico col sostegno ottenuto a Ratisbona dai grandi del regno germanico, scese in Italia in direzione di Roma, alla testa di trentamila uomini, per ricevere la corona imperiale da Pasquale.

Per poter essere incoronato imperatore, Enrico V sapeva che doveva rinunciare definitivamente alle investiture dei vescovi. Si stipulò un primo trattato a Sutri. L’imperatore poté così entrare a Roma ma gli eventi non andarono per il verso giusto e dopo tre giorni di aspra guerriglia, Enrico lasciò l’Urbe, conducendo prigioniero con sé il papa Pasquale e quindici cardinali. La dura prigionia del pontefice durò sessantuno giorni, poi il papa, sotto minaccia di morte, l’11 aprile fu costretto a siglare un accordo a Ponte Mammolo col quale di fatto ripristinava la situazione anteriore a Gregorio VII, azzerando completamente tutti gli sforzi e i progressi che la Chiesa aveva raggiunto nella lotta per le investiture. Il 13 aprile il re fu finalmente incoronato imperatore nella basilica di S. Pietro. Terminata la celebrazione, l’imperatore prevedendo disordini lasciò subito la città e Pasquale rientrò per la prima volta in Laterano dopo due mesi di prigionia.

L’abate di Montecassino non si fece attendere e prese iniziativa per convincere il papa a rescindere l’accordo. Si conservano quattro lettere che, in poco tempo, Bruno indirizza a Pietro vescovo di Porto, ai cardinali e ai vescovi, allo stesso papa[16] e infine al preposito di San Giorgio[17] il quale lo aveva interpellato anche per conto dei vescovi di Lucca e Parma e dei ministri dei vallombrosani e dei camaldolesi.

Dai destinatari delle lettere, e dal testo delle stesse, si può intuire quanto fosse ricercata la sua opinione, non solo all’interno del mondo monastico, ma anche all’esterno, per giungere fino a Matilde di Canossa[18] attraverso il vescovo di Parma, suo suddito.

Pasquale non restò indifferente allo scambio epistolare che Bruno aveva intrattenuto con molti cardinali e vescovi. Temendo che l’abate di Montecassino con la diffusione del suo pensiero, potesse creare seri problemi alla sua permanenza sul trono di Pietro, volle intervenire.

Pasquale prese la sua decisione e dall’isola di Ponza dove si era rifugiato, inviò a Bruno l’ordine di lasciare immediatamente Montecassino sciogliendolo dai voti monastici e di tornare a Segni come vescovo, revocando anche la deroga dal cumulo dei benefici ecclesiastici a cui prima lo aveva sottoposto, nonostante Bruno non lo avesse richiesto o desiderato.

La lettera con le decisioni del papa arrivò a Montecassino ai primi di ottobre del 1111.

Bruno radunò i monaci in capitolo e lesse la lettera del papa. Spiegò i motivi e la genesi del provvedimento pontificio e senza indugio lasciò immediatamente il monastero e la sera stessa si trasferì nella Curtis Major di San Germano, l’attuale Cassino. Il giorno seguente, Bruno salì di nuovo all’abbazia per presiedere all’elezione del suo successore. Il 13 ottobre lasciò l’abbazia e fece ritorno a Segni dove venne accolto da una popolazione festante che, con grande esultanza, lo accompagnò fino in cattedrale.

L’allontanamento di Bruno da Montecassino per Pasquale fu indubbiamente una vittoria e soprattutto un motivo di sicurezza perché il più temibile degli avversari era ormai confinato nella sua diocesi, e da quella sede poco avrebbe potuto fare e dire.

Il clima generale era arroventato da proteste e malumori contro Pasquale che si levavano da tutta la Chiesa. L’ex abate di Montecassino non era stato l’unico a protestare, ma come lui anche altri avevano preso iniziativa contro un provvedimento che era stato tacciato di eresia. A Bruno, tra gli altri, si unirono anche i monaci benedettini Placido di Nonantola e Goffredo di Vendȏme.

Per cercare una soluzione al problema, il 18 marzo 1112 Pasquale II convocò un concilio al Laterano, al quale parteciparono circa 120 vescovi, tra i quali anche Bruno. La situazione non era delle più semplici e richiedeva una soluzione molto elaborata perché il papa, secondo le leggi canoniche, non poteva essere giudicato da nessuno.

            Pasquale rese la sua dichiarazione in concilio. Nel suo intervento solenne affermava che la firma sul trattato era stata apposta solo a motivo della costrizione e della paura per l’incolumità della città di Roma e dei cardinali del seguito, catturati insieme con lui, e non certo per timore della sua incolumità. Asseriva pubblicamente che ciò che aveva compiuto era un atto pravo dal quale voleva correggersi, e pur sapendo che il concilio non poteva giudicarlo, chiudeva il discorso dicendo di rimettersi comunque al giudizio e al consiglio dei vescovi convenuti.

Il giorno seguente, Pasquale rinnovò pubblicamente la professione di fede recitando il Credo Niceno-Costantinopolitano e aggiungendo al testo anche un generico riferimento ai contenuti dei canoni promulgati dai suoi immediati predecessori: “Abbraccio i decreti dei santi padri, dei Romani Pontefici, specialmente del mio signore papa Gregorio VII e del papa Urbano II di beata memoria. Tutte le cose che essi stessi lodarono io lodo, quelle che essi hanno ritenuto io ritengo, quelle che essi hanno confermato io confermo, quelle che essi hanno condannato io condanno, quelle che essi hanno respinto io respingo, quelle che essi hanno interdetto io interdico, quelle che essi hanno proibito io proibisco; in tutto e per tutto in queste persevererò”.[19].

La professione di fede pronunciata da Pasquale, con la quale il pontefice pensava di soddisfare definitivamente le richieste del partito gregoriano, in realtà non diede soluzione al problema.

Il periodo seguente il concilio del Laterano del 1112 servì a Pasquale per rafforzare la sua posizione e collocare nel collegio cardinalizio e negli ambienti di curia, come anche nei vescovati che man mano si liberavano, uomini di sua fiducia[20], relegando in posti marginali i sostenitori integerrimi della riforma gregoriana, i suoi vecchi collaboratori. Bruno fu uno di questi. Ormai si era ritirato definitivamente a Segni, limitando la sua azione al territorio della diocesi, senza intervenire pubblicamente nella vita della Chiesa se non quando strettamente necessario, in forza del suo ministero episcopale. Infatti lo troviamo solamente al concilio di Benevento del 1113, convocato per trattare conflitti sorti tra chiese locali. Abbiamo invece notizia che in quegli anni si dedicò alla ristrutturazione della cattedrale di Segni di cui consacrerà l’altare.

Nel 1116 Pasquale convoca un secondo concilio per chiudere le questioni rimaste aperte quattro anni prima e compiere quell’atto penitenziale che fino a quel momento aveva evitato e che fin quando non fosse stato realizzato, lo rendeva agli occhi della Chiesa, non pienamente idoneo al governo. Al concilio partecipò anche Bruno. Pasquale fece pubblica ammissione di colpa, chiedendo perdono e ad affidandosi alla preghiera della Chiesa perché Dio avesse pietà di lui.

Bruno non era presente il giorno che Pasquale aveva fatto la sua pubblica ammenda, tornato in concilio il giorno seguente, si alzò a dire la sua, interpretando probabilmente quella che era l’opinione di molti, ma rischiando soprattutto di far esplodere di nuovo la polemica. Se Pasquale stesso non fosse intervenuto a tacitare l’accesa discussione appena iniziata, i fatti avrebbero preso una diversa direzione. Davanti alle parole di Bruno si sollevò subito la protesta del cardinale Giovanni di Gaeta, futuro Gelasio II, successore per un anno appena di Pasquale sul trono di Pietro.

Sta di fatto che comunque Pasquale da quel giorno non venne più accusato di eresia, la pace nella Chiesa fu ricostruita.

Il vescovo di Segni, dopo il concilio, tornò nella sua sede, dove trascorse gli ultimi sette anni della sua vita. Bruno si dedicò a tempo pieno al ministero episcopale prendendosi cura della sua Chiesa, istruendo i fedeli e preoccupandosi anche del loro benessere materiale oltre che spirituale.

Dieci mesi prima della sua morte, nel 1112, fu raggiunto un accordo tra la Chiesa romana e l’Impero che diede vita al concordato di Worms. Si pose fine così alla lotta per le investiture. L'imperatore Enrico V rinunciava al diritto di investire i vescovi riconoscendo solo al Pontefice tale prerogativa.

La Vita Sancti Brunonis racconta che ormai gravemente malato, nel mese di luglio 1123, si mostrò ai fedeli dalla finestra dell’episcopio e da lì, dopo averli benedetti, abbia predetto ai segnini che non sarebbero mai stati dominati da un tiranno e che avrebbero conservato sempre il dono divino della libertà: “Finito di parlare, predisse loro che nessun tiranno mai avrebbe edificato nella città di Segni torre o altra fortificazione per loro oppressione o danno, e che avrebbero goduto in ogni tempo del dono divino della libertà”[21].

Fu effettivamente così, perché alcuni decenni dopo la sua morte, nel 1182, la cittadina venne affrancata dalla potestà dei signori locali e affidata per decreto di Lucio III al vescovo ordinario. L’amministrazione civica di Segni restò legata alla sua Chiesa diocesana e direttamente soggetta alla Sede Apostolica.

Bruno morì a Segni il 18 luglio 1123 e fu sepolto nella cattedrale da lui edificata, nel quinto anno del pontificato di Callisto II, quarantaquattresimo del suo episcopato, il più lungo nella storia della sede episcopale segnina.

 

[1]  L’abbazia di Frutturaia fu fondata nel 1003 da Guglielmo da Volpiano, figura di primo piano della Riforma cluniacense. Ospitò la comunità monastica fino al 1848, anno in cui i monaci la abbandonarono.

[2]  D. Vitali, San Bruno Astense, vescovo di Segni, abate di Montecassino in “Ecclesia in cammino”, 7/8 (2018).

[3]  B. Navarra, San Bruno Astense, p. 23.

[4]  Vita Leonis Papae IX, PL 165, cc. 1109 – 1122.

[5]  N. Risi, San Bruno Astense. Vescovo di Segni, sua vita e sue opere, Prato 1918, p. 48.

[6]  A. Fliche, Storia della Chiesa, p. 231.

[7]  R. Grégoire, Bruno de Segni, p. 33.

[8]  A. Fliche, Storia della Chiesa, p. 330.

[9]  G. M. Cantarella, Pasquale II, p. 127. Sembra essere di questo avviso anche il Cantarella che lo definisce “riottoso cardinale”.

[10]  A. Fliche, Storia della Chiesa, p. 365.

[11]  Ibidem, p. 367.

[12]  G. M. Cantarella, Pasquale II, p. 123.

[13]  B. Navarra, San Bruno Astense, p.42.

[14]  Chronica monasterii Casinensis, IV, 42, 90. «Cuncti, procul dubio, qui in Romana sunt Ecclesia, noscunt, quia nisi contra Ecclesiam schismaticorum saerviret insania, hoc quod nunc egi, a multis jam annis opere implevissem. Nunc vero qui in Romana Ecclesia, Petro clavum regente, tota per orbem Christi Dei nostri gratulatur Ecclesia ventorum jam turbines silent, maria pacata quiescunt, idcirco, quod Deo semel devoveram, reddere cogor».

[15]  B. Navarra, San Bruno Astense, p. 41.

[16]  Epistula ad Paschalem Summum Pontificem, PL 163, cc. 463a – 464a.

[17]  Epistula ad B. Praepositum et cunctos Fratres S. Georgii, PL 165, cc. 1139 – 1142.

[18]  G. M. Cantarella, Pasquale II, p. 124.

[19]  Actio Concilii contra Heresim de investituris, G.D. Mansi, Sacrorum Conciliorum Nova et Amplissima Collectio, Firenze 1579, vol. XXI, c. 471.

[20]  G. M. Cantarella, Pasquale II, p. 144.

[21]  Anonimo, Vita Sancti Brunonis, c. 484, E.

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